Nel Cinquecento Aquila era una delle città più grandi, vivaci e
prosperose del regno. Si teneva al corrente delle novità e
l’invenzione della stampa aveva fatto fiorire edizioni e librerie.
L’arte della lana gareggiava con Firenze. Signori, mercanti e
studiosi elegantissimi percorrevano il corso principale che, lo
stesso dalla fondazione, sboccava come oggi sulla grande piazza del
Mercato. Nelle vie e viuzze nuovi palazzi, bianchi e splendenti,
ospitavano ricche famiglie con qualche intellettuale un po’ folle.
Chi si ricorda la beffa dei busti di Modigliani in Arno, la troverà
simile al documento arditissimo che mai si seppe come fosse arrivato
tra i ruderi del cimitero di Amiterno nel 1580. Era una pergamena in
caratteri ebraici, chiusa in una cassetta di marmo bianco, a sua
volta dentro un'altra di ferro, con la sentenza più famosa al mondo,
quella di Pilato contro Cristo.
Per difendere o confutare l’autenticità del papiro scoppiò una
bufera nazionale:
Paolo
Giovio avvisò il giureconsulto Camillo Borrello, che ne fece una
chilometrica confutazione: "Discorso cattholico et apologia
historica cavata dal Vecchio e Nuovo testamento, et ornata de
diverse Historie, composta dal Eccellente Dottor Camillo Borrello.
Sopra un giudicio fatto intorno a quella sentenza di Pilato che li
anni passati fu trovata nell'Aquila, città d'Abruzzo". Napoli,
appresso Horatio Salviani, 1588. Dedica al papa.
Nel
1674 a Napoli la "Notitia di Pontio Pilato et de suoi iniqui gesti
descritta dal dott. Gregorio Motilli Capuano" confutò la
confutazione. Avevano tempo da perdere, perché dopo qualche secolo
si
concluse che siffatti testi apocrifi erano sorti nel medioevo
per riempire i vuoti di documenti storici, e poi erano riapparsi nel
secolo XV. Pare, comunque, che nel Cod. V. H. 66 (sec. XV) della
Nazionale di Napoli, ci sia davvero la "Sententia de Pilato contro
Christo".