Quando una nave affonda, il grido è: “Si salvi chi può!”. Nella bufera che gli esseri umani creano, troppo spesso arraffoni, superficiali, corrotti, rumorosi, è da rinsaldare l’identità abruzzese, e legarcisi come fece Ulisse per scampare alle Sirene.
Si tratta di rivalutare l’abruzzesità, millenni di valore e cocciutaggine, dall’Uomo di Neanderthal alla Brigata Majella. Riscoprire le bellezze della terra, le leggende, la storia di cui troppo poco si parla, le nostre virtù che colpivano gli stranieri, fierezza, gentilezza e disinteresse.
Una giornalista inglese arrivata in Abruzzo ai
primi del Novecento, Anne MacDonell disse di noi:
“Essi non si aspettano
niente […] non ho mai visto alcuna persona con il volto di chi
aspetta qualche cosa. Guardano con tranquillo cinismo, non è figlio
dei loro sogni il mondo che corre”. Era la dignità di chi il suo
mondo ce l’ha dentro e si è tirato fuori dall’incalzare degli
oggetti.
Anche
per le donne ebbe un elogio particolare. “Sembrano tutto, fuorchè
schiave e il loro portamento è regale; non ho mai visto tante
regine. Sono ben consapevoli del loro valore e del loro potere nella
famiglia: sono le colonne del luogo ed hanno l’aria di saperlo.”
A
riprova che tutto è ancora così, basta l’immagine del popolo di
Manoppello che aspetta il ritorno di quaranta figli morti a
Marcinelle. I visi sono impietriti dalla tragedia, ma sembrano le
statue dei re nei portali delle chiese, e non si sente un lamento.
Lo strazio è palpabile, ma interiore, nobile.
Nei
paesi esiste ancora questa gente, in città cambia un po’, per
adeguarsi e far carriera, per essere alla moda. Ma a noi abruzzesi
basta portare nell’ oggi il patrimonio di ieri, per riscoprirci re e
regine che governano se stessi, e non sono né in vetrina né in
vendita.
Questo
sito nasce per tendere tutti insieme a questo ritrovamento, e
aspetta collaborazioni, ricerche, ricordi.